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Seconda metà della speciale celebrazione dedicata a LEGION LOST, la stupefacente miniserie DC Comics uscita in origine nel 2000-01 e ristampata dall’editore newyorkese, nella splendida edizione cartonata che trovate a questo link, solo da poche settimane.
L’opera fu sceneggiata dal duo britannico di Dan Abnett ed Andy Lanning, – la cui intervista, che ha dato il via alle danze, potete leggere cliccando qui – ed illustrata dagli altrettanto talentuosi Olivier Coipel e Pascal Alixe.
Supervisore dell’acclamata saga sci-fi, infine, fu Mike McAvennie. Ed è proprio con l’editor di LEGION LOST che abbiamo chiacchierato questa volta, in un’altra grande esclusiva del blog: buona lettura, Legion-junkies!
Prima di andare al sodo, però, permettetemi di ringraziare di nuovo il delizioso McAvennie, che è stato assai cortese e disponibile. Thanks again, Mike!
Legion Blog: Hai iniziato a supervisionare le collane della Legione nel 1998, dopo KC Carlson. Allora la linea era chiaramente rivolta a un pubblico giovane, e così era fin dal reboot post-ORA ZERO di quattro anni prima, al punto da rendere nota tra i fan quella versione del team futuribile come la “Archie Legion”.
L’editore era contento delle vendite? E qual era la risposta del pubblico alle storie?
Mike McAvennie: Ero Assistant Editor ai tempi del reboot post-ORA ZERO della Legione, e credo che il franchise abbia molto beneficiato da quel rilancio. Per un po’, almeno, cambiò la percezione generale che la Legione fosse diventata un “concept difettato” con il lancio di “Five Years Later”.
Certamente, mi ci volle un po’ di tempo per mettermi a mio agio con i rimandi alla “Archie Legion”. Non mi fraintendere – ho amato i fumetti della Archie durante gran parte della mia adolescenza. Tuttavia, all’inizio ero preoccupato che quel riferimento potesse implicare che le serie della Legione rimanessero forse immature, e che quindi potessero allontanare potenziali nuovi lettori. Per fortuna, però, le vendite aumentarono, anche se non drasticamente, e la critica e la reazione dei fan indicarono che avevamo trovato il giusto equilibrio tra avventura intergalattica e interrogativi esistenziali da soap adolescenziale.
Come descriveresti lo status del franchise in quel periodo?
McAvennie: Sono stato lontano per 18 mesi dalle collane della Legione prima di succedere come Editor a KC Carlson, per cui posso solo dire come le cose mi apparvero al momento in cui assunsi quella posizione. Sembrava che il rinnovamento creativo avesse assorbito così tanto dalle persone in esso coinvolte che a metà strada, alla fine nel terzo anno di reboot, il “profumo da auto nuova” che aveva rivitalizzato la Legione fosse semplicemente svanito. Dopo aver condotto il franchise ad un punto che favoriva l’ingresso di nuovi lettori, le storie sembravano aver perso direzione a lungo termine, e i personaggi e le loro relazioni reciproche presto soverchiarono le trame.
In poco tempo, divenne lampante che molti dei fan avevano nuovamente perso interesse nelle serie. Ricordo di aver moderato discussioni in cui le persone riuscivano a prevedere intere storyline. La maggior parte delle volte non confermavo né negavo le loro teorie, ma mi frustrava che le serie e i suoi personaggi fossero diventati così prevedibili. In poche parole, stavamo deludendo la Legione e i suoi lettori.
Permettimi di chiarire una cosa: non penso che nessuna storia nello specifico sia stata responsabile per il calo delle vendite e dell’interesse del pubblico. KC era un Editor perfetto per la Legione, in un periodo in cui il franchise era tutto fuorché perfetto. Ho imparato molto lavorando con lui, e con grandi talenti come Mark Waid, Stuart Immonen, Adam Hughes, Chris Sprouse, Tom Peyer, Tom McCraw, Roger Stern, Lee Moder e Jeff Moy. Solo, credo che quella combinazione di elementi avesse semplicemente fatto il suo tempo, e le circostanze fecero in modo che io non potessi agire su quegli elementi prima di un anno da quando fui nominato Editor.
Dalla storyline “Legion of the Damned” del 1999, il target della serie si spostò verso un pubblico più vecchio: le storie divennero più drammatiche, e iniziarono a coinvolgere temi complessi, più vicini alla hard sci-fi.
Come e perché nacque questo cambio di direzione?
McAvennie: “Legion of the Damned” non voleva solo attrarre verso la Legione un pubblico più cresciuto. Fu concepita come un ciclo in quattro parti che desse una scossa allo status quo.
Le collane della Legione erano in acque difficili, ed era chiaro dalle vendite sempre più stagnanti e dal feedback dei fan che il pubblico voleva dei cambiamenti, e drastici. Penso che il reboot post-ORA ZERO avesse catturato quanto possibile della classica atmosfera della serie, per cui cercare di perseguire di nuovo quella strada sarebbe stata la mossa sbagliata. È stato a questo punto che ho iniziato a parlare con Dan [Abnett] e Andy [Lanning], chiedendo loro di concentrarsi sulla fantascienza e sull’avventura epica. Se la storia era solida, allora avrebbero potuto adattarla alla Legione.
Come hai assemblato il team creativo di Dan Abnett, Andy Lanning e Olivier Coipel?
McAvennie: Ero entrato in contatto con Dan Abnett e Andy Lanning per scrivere un episodio di THE CREEPER, e mi ero molto divertito a lavorare con loro in un crossover tra SUPERGIRL e RESURRECTION MAN. Sapevo che loro due amavano molto la fantascienza, e Dan si stava affermando con i suoi romanzi di Warhammer, così chiesi loro di ideare un ciclo di storie per la Legione. Volevo che si concentrassero più sulla storia che sul fatto di ri-catturare l’atmosfera passata della serie. Noi tre e Tom McCraw abbiamo discusso una lunga storyline che iniziava con la Terra sotto assedio da parte dei Blight, e da subito capii che Dan e Andy potevano fare davvero qualcosa di eccitante per il franchise.
Olivier è un’altra storia. Volevo discostarmi dallo stile pulito che Jeff [Moy] – e, in minor parte, Lee [Moder] – avevano sapientemente plasmato negli anni. Non che ci fosse nulla di male in quello stile, ma, dopo cinque anni, se i lettori continuano a diminuire, è tempo di cambiare.
Devo molto all’allora VP of Art Direction and Design della DC, Mark Chiarello. Mi ha saputo ascoltare mentre gli spiegavo le mie preoccupazioni riguardo la Legione, e mi ha mostrato delle prove di numerosi artisti che aveva incontrato a San Diego. Ce n’erano due che spiccarono da subito ai miei occhi, ma quello che davvero mi colpì fu Olivier Coipel. Il suo stile era così profondamente differente da quanto avessi visto fino ad allora nei fumetti americani che pensai all’istante potesse essere complementare allo storytelling di DnA (“Dan and Andy”). Ho subito chiamato Olivier in Francia per offrirgli la storia di “Legion of the Damned”, con la promessa di tenerlo impegnato anche nell’immediato.
In quel periodo, tu supervisionavi anche le testate di Superboy e Supergirl, e in precedenza avevi anche fatto da assistente all’Editor Joey Cavalieri negli uffici dell’Uomo d’Acciaio. Tuttavia, per quanto possa sembrare strano, uno dei punti focali della Legione post-reboot era la completa assenza di relazione con il mythos di Superman, al contrario di quanto accadde tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta.
Qual era la tua opinione su questo aspetto?
McAvennie: Da ragazzino, leggevo la Legione perché Superboy era parte del team. Lui è la ragione per cui acquistai la miniserie di ristampe della Legione del 1973 [il cosiddetto “volume one”, NdR], e la storia “Wrath of the Devil Fish” nell’albo speciale di 100 pagine di SUPERBOY AND THE LEGION OF SUPER-HEROES #202. Superboy e Batman furono i primi personaggi DC che lessi da bambino, così quando il primo lasciò la Legione nel #259, anch’io abbandonai la serie per un po’ – nello specifico, tornai verso il #280.
Quando diventai l’assistente di KC sulle testate della Legione, nel 1993, Superboy non era più parte della storia ufficiale del team, per via del revamp di Superman successivo a CRISI SULLE TERRE INFINITE. Era un peccato, perché ho sempre pensato che lui appartenesse al team (non so spiegare perché, ma non ho mai condiviso con la stessa intensità quel sentimento con Supergirl), ma in quel momento mi interessava di più lavorare con KC per fare in modo che le storie della Legione di quel periodo funzionassero.
Secondo te, questa caratteristica era una forza o un handicap per la serie?
McAvennie: La perdita di Superboy danneggiò la Legione come franchise? Secondo me sì, in primo luogo perché la sua totale rimozione dalla storia del team agì da costante promemoria ai fan di lungo corso che quella non era la stessa Legione con la quale erano cresciuti. E di certo non potevi spiegare a un lettore occasionale l’assenza di quel personaggio senza rendere le cose ancora più complicate. I personaggi e i team che funzionano si possono di solito riassumere in una o due frasi; dalla fine degli Ottanta/primi anni Novanta, questo era impossibile per la Legione.
Strano a dirsi, ricordo che i fan si lamentarono per via del fatto che non avessimo reso Superboy parte del reboot post-ORA ZERO della Legione, ma io sono contento che sia stato così. Lo stesso Superboy non era più lo stesso personaggio, e sarebbe stato una sorta di inganno fare di lui un legionario. La cosa ci ha permesso di giocare con l’idea che R. J. Brande e la Legione fossero ispirati non solo da Superman, ma dalla Justice League of America. Questo sembrava il modo più onesto di mantenere viva la connessione tra Superman e la Legione, senza contraddire tutto ciò che era già stato stabilito. Inoltre ci diede l’idea per alcuni buoni crossover tra il nuovo Superboy, che inizialmente, per via dei loro archivi storici incompleti, i legionari scambiarono per un giovane Superman.
Alla fine, ci vollero DnA e Olivier per non farmi definitivamente rimpiangere Superboy nella Legione. Il loro lavoro, su “Legion of the Damned” prima e LEGION LOST poi, diede al team una base solida. Eravamo tutti concentrati a portare il franchise in avanti, piuttosto che preoccuparsi di cosa avrebbe potuto preoccupare i fan del franchise classico.
Qual era, per te, il punto forte della Legione?
McAvennie: “Legion of the Damned”, LEGION LOST, LEGION WORLDS e THE LEGION mi affascinarono come fan in quanto storie epiche di fantascienza. Per molto tempo, avere 40 personaggi nel team sembrava respingere nuovi lettori. Ora invece questi arrivavano perché potevano essere assorbiti nell’avventura a partire a qualsiasi episodio. Fu anche d’aiuto rendere la Legione un gruppo di sconfitti, che combattevano situazioni apparentemente impossibili. Se i tuoi eroi possono sopraffare tutto ciò che gli poni di fronte, che divertimento c’è?
In realtà, circa un anno dopo che tu abbandonassi la poltrona di Editor della collana della Legione, – che in quel periodo era intitolata solo THE LEGION – la DC riunì il team all’Uomo del Domani, facendo sì che Superboy passasse un lungo periodo nel 31esimo secolo. Questo coincise con un cambio di toni della serie, dalle atmosfere sci-fi che tu avevi contribuito a costruire a un approccio supereroico più classico.
La libertà dal mythos di Superman è stata per te un’arma per rendere il team di Saturn Girl e soci più una “Legione” che una “Legione dei Super-Eroi”?
McAvennie: Lasciai Ia DC poco prima del grande ciclo di storie successivo. DnA avevano discusso dell’idea di portare di nuovo Superboy nelle file della Legione, ma non ero convinto. Avevamo speso così tanti anni per far in modo che la Legione si reggesse sui suoi piedi “collettivi”, e per me non era facile dire “Sì, aggiungiamo Superboy ora!” – almeno, non senza rendere quell’impresa molto interessante.
Ricordo di aver suggerito che DnA aggiungessero Superboy per un anno o giù di lì, per poi rivelare alla fine che si trattava di Match, il clone malvagio di Superboy del 21esimo secolo, che per ragioni misteriose era convinto di essere il Ragazzo d’Acciaio. L’idea non si concretizzò mai, ma non fu un problema. Steve Wacker ha svolto un ottimo lavoro come Editor, e ha collaborato a un lungo ciclo con i ragazzi e Chris Batista. È stato diverso rispetto a ciò che io immaginavo, ma questo non lo rese meno interessante.
Traduzione di Fabio Graziano e Paolo D’Alessandro
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