E così, si comincia. Con il lancio, dall’ultima settimana di agosto, dei “new 52″, è ufficialmente iniziata una nuova era per il DC Universe. E, forse, per l’intero comicdom statunitense.
Ma al di là dei frivoli entusiasmi da fanboy e dei dettagli da annuari della nona arte, come si prefigurano le nuove collane DC – e nello specifico quelle della Legione – in quanto a contenuti?
Una parziale risposta in questo senso è giunta lo scorso mercoledi con l’esordio di “Legion Lost” (vol.II), di Fabian Nicieza (testi) e Pete Woods (matite).
Devo ammettere che, nonostante i miei pregiudizi contro il mediocre Nicieza, la lettura non è così male.
Si tratta di un’avventura tutta azione e dal ritmo serrato. Qualcuno direbbe “senza pretese”, anche se a me pare un’espressione un po’ sciocca, visto che ogni fumetto DC (ogni fumetto? ogni storia?) almeno una “pretesa” ce l’ha eccome: quella di intrattenere. Diciamo magari, quello sì, che non si tratta di una portata per palati fini, ma valida giusto per un leggero (e, di tanto in tanto, necessario) snack.
Sulla trama ormai si sa già tutto, e anche di più. Per inseguire lungo i corridoi dello spaziotempo un terrorista, portatore sano di una terribile epidemia, una selezione di legionari sfida la “barriera Flashpoint” (sic) per ritrovarsi nel XXI secolo. Riusciranno i nostri eroi ad impedire che Alastor, il malvagio paziente zero, gambizzi col suo odio la storia dell’umanità? E riusciranno, soprattutto, a tornare poi a casa, mille anni nel futuro?
Un’idea di base interessante, radicata com’è nell’immaginario dell’America post-11/9 (anche se, a dieci anni da quella tragedia, forse è un po’… fuori tempo). Certo, ancora non riesco a capacitarmi di come possa funzionare nella forma di una serie regolare invece che come storyline circoscritta, ma credo che – indipendentemente dalla qualità del lavoro degli autori, beninteso – il mercato chiederà i conti all’editore abbastanza in fretta da non indurre a farsi troppi problemi su questo fronte.
Tuttavia duole sottolineare che, a una lettura attenta, alcuni elementi della vicenda sembrano quadrare poco (attenzione: segue qualche piccolo spoiler).
Ad esempio, la strategia dei legionari contro l’arma biologica non pare affatto solida. Una volta catturato Alastor, infatti, i crononauti si riavviano subito verso casa con il prigioniero, senza neppure sincerarsi che il contagio non sia già iniziato (cosa invece assai probabile, a quel punto). E addirittura, dopo l’inevitabile precipitare della situazione, Wildfire pone ai suoi compagni come un problema il dubbio che loro stessi possano essere stati infettati… ma santo cielo, ragazzo mio, state inseguendo l’untore di un virus mortale e non vi attrezzate a dovere, neppure con un banale vaccino?
C’è da dire che, a parziale giustificazione di questo incomprensibile deficit organizzativo, per tutto l’albo (alcuni) gadget tecnologici dei nostri eroi vengono mostrati soffrire di (misteriosi) problemi di funzionamento. Tra questi tecno-giocattoli le celebri transuits, le tute che di solito proteggono i legionari dal vuoto dello spazio: che fossero proprio queste le protezioni previste contro l’eventuale contagio? Nella storia non viene mai detto in modo esplicito, ma a mio avviso la cosa reggerebbe comunque pochino.
Chissà, magari gli elementi appena esposti verrano meglio approfonditi nei prossimi episodi: ritengo però che sarebbe stato meglio evitare certe ambiguità dal principio, soprattutto quando bisogna sgomitare per un po’ di attenzione in mezzo a 51 altri numeri uno. Ma d’altronde nell’albo la Legione non viene mai introdotta a dovere, dal che deduco che gli autori non si siano mai davvero posti il problema della chiarezza, nè illusi di attirare sangue nuovo.
Sul piano delle modalità narrative, è bello notare come per ogni personaggio – se pure al momento anche attraverso stereotipizzazioni (Alastor) – sembri configurarsi una voce specifica e caratterizzante (Timber Wolf, Dawnstar), soprattutto nella descrizione dell’utilizzo da parte di ognuno dei suoi superpoteri (Tellus, Tyroc).
Inoltre, al contrario del moscio “volume six” levitiziano, ognuno dei protagonisti di “Legion Lost” è in qualche modo al centro di un qualche tipo di palese conflitto. Il percorso sembra indicare già una direzione chiara, insomma, tracciata nel segno del dramma; le stesse due morti preannunciate, – non allarmatevi però, la sequenza è abbastanza ambigua da far sperare con fondatezza in un ritorno delle presunte vittime – non servono che a rendere ancora più grave il momento finale del “naufragio”, la modifica allo status quo che i nostri eroi dovranno superare.
Per quanto riguarda il lato grafico, infine, chapeau al grande Pete Woods, forse mai così in forma. Il suo segno è morbido e piacevole, i personaggi espressivi, i layout chiari ed energici: bello bello bello.
Il gusto cartoon dell’artista è inoltre sottolineato dagli adattissimi colori di Brad Anderson, che aggiungono davvero un ulteriore livello di godimento ai già piacevoli disegni. Forse, visivamente siamo ai livelli più alti dai tempi dell’Olivier Coipel di “The Legion”, e non è poco.
Concludendo, direi che pur soffrendo di alcuni difetti e forzature, l’esordio è in definitiva incoraggiante e lascia sperare in bene per il futuro. Vale la pena di dargli un’occhiata!
Tags: Alastor, Chameleon Girl, Dawnstar, DCU Reboot 2011, Fabian Nicieza, Gates, Legion Lost (vol.II), Pete Woods, Tellus, Timber Wolf, Tyroc, Wildfire
E per fortuna che avevi accennato ad una recensione “sintetica” ^_^
Ieri ti avevo detto che la trama mi attirava… oggi, dopo aver letto la tua recensione, potrei farci anche un pensierino, nonostante non sia un estimatore di Nicieza. Woods invece quando non ha quello stile legnoso, mi piace.
giuro che l’idea era di farla sintetica 😛
un pensiero faccelo. non è un gran che ma neppure una merda, ecco.