Riaprendo finalmente il pannello di controllo del blog, mi sono stupito nel leggere la data del mio ultimo articolo: 14 settembre 2010. Un mese fa.
Certo, a tenermi lontano dalla tastiera del pc sono stati soprattutto gli impegni della vita quotidiana, specialmente di studio. Ma anche un’altra ragione, sulla quale ho casualmente avuto modo di riflettere da qualche giorno.
Come i miei tre o quattro lettori senz’altro già sanno, ho il piacere di partecipare alla comunity del Forum di Glamazonia.it, il sito che ospita in seno le pagine virtuali che avete di fronte. In quella sede, nella sezione dedicata ai fumetti DC, mi trovo spesso a commentare le uscite dell’editore newyorkese, limitatamente alle mie letture. Tuttavia, i miei messaggi sul tema sono da tempo caratterizzati da toni sempre e solo negativi, anche in maniera molto aspra, così come le reviews che pubblico periodicamente sul blog.
Incuriosito da tale atteggiamento, un utente del Forum mi ha dunque sfidato, in amicizia, a consigliarli qualche buon comic mainstream contemporaneo, se non altro per farsi un’idea dei miei gusti in materia, apparentemente così difficili. Gli ho risposto subito, di cuore. E, con mia stessa sorpresa, nella mia lista di “must” non compariva alcun titolo DC. Gosh, per tutte le assenze, Batman!
In effetti, da tempo i miei ordini di materiale DC sono in costante riduzione, al punto da mantenere ormai in abbonamento solo quelle pochissime serie, come i titoli legati alla Legione, che il maledetto istinto da collezionista mi proibisce (ancora) di disdire.
Ma perchè tanto odio?
In sintesi, ho identificato tre ordini di problemi che mi allontanano dall’attuale gestione DC.
Il primo è relativo alla qualità media delle sceneggiature, che trovo molto bassa. Ancora una volta rimando alle mie recensioni Legion-related, nelle quali mi trovo sempre più di frequente a dover sottolineare gravi carenze degli script, fin dai livelli basilari logico e registico. Un lavoro così scadente si specchia in albi quantomeno poco divertenti: lo stesso “Legion of Super-Heroes” (vol. VI), il più leggibile tra i mensili che prendo in esame nelle review, può essere definito al meglio come un passatempo blando ed evitabile.
Un secondo problema, forse addirittura più grave, è la generale incompetenza degli editor, cioè delle figure che dovrebbero coordinare gli aspetti pratici della genesi delle storie. Non solo è percepibile una carenza di pianificazione a lungo raggio delle trame, vedi l’esempio dei continui rilanci “a vuoto” di personaggi come Flash, i Titani, e la Legione, ma la gestione ordinaria della produzione è continuamente vittima di frettolosità ed inciampi, come quelli dei ritardi nelle uscite.
Più di tutto, però, a deprimermi è il continuo e insistente ricorso a tematiche lugubri e violente.
Sulle origini di questa tendenza “dark” ho inserito in coda al post un breve articolo, scritto per un’altra occasione ma che riciclo volentieri come ideale integrazione al percorso di queste righe.
Per quanto riguarda il “come”, invece, vale la pena di spendere due parole in una piccola analisi ad hoc.
Sangue. Stupri. L’ossessione per il tema della morte. Oltre a non interessarmi in linee generali, trovo questi argomenti del tutto fuori luogo nelle avventure di eroi di carta come quelli DC, il cui mondo narrativo è stato sviluppato per funzionare attorno a ben altre premesse.
Mondo narrativo? Premesse? Quando sul Forum di Glamazonia tocco aspetti come questo, capita sempre che alcuni utenti rispondano col fare di chi, nel contempo, si gratta la testa di fronte al monitor di casa. Anticipando eventuali dubbi, prendo dunque a prestito una citazione da Pietro De Angelis, scrittore e blogger del Fatto Quotidiano online, che in questo articolo scrive:
[…] un mondo narrativo è un ordine di esistenti, cioè l’insieme dei personaggi e degli ambienti di una storia che sono selezionati e correlati in modo da creare un’unità coerente e pulsante.
Esempio. Nessuno si stupirebbe se, nei fumetti di casa Disney, Archimede Pitagorico sopravvivesse a un’esplosione nel suo laboratorio, uscendone solo con le piume arruffate e magari appena bruciacchiate. È un mondo buffo e amabilmente irrealistico, quello, in modo conforme ai personaggi che lo abitano.
Ecco, immaginate il DC Universe come una sorta di Paperopoli. D’altronde, l’intero mythos di franchise come quello di Superman è sostenuto da logiche e meccanismi che, se pure prendono slancio dal trampolino del mondo reale, lo fanno per saltare lontano, nella dimensione escapista della metafora e del sogno.
L’Uomo d’Acciaio è senz’altro più vicino a Paperino che, per dirne una, al detective di un romanzo noir. E non mi riferisco alle situazioni in sè vissute dall’alter-ego di Clark Kent durante le sue avventure, ma appunto al modo in cui queste ultime sono rappresentate, filtrate, rispetto alle leggi del mondo di chi le scrive. Eppure, oggi i protagonisti della DC sono messi a confronto con lo stesso cinismo della realtà, nei termini che ci aspetteremmo se mai proprio da un giallo o un documentario di “Presa Diretta”.
Tale prospettiva si concretizza nelle sceneggiature sia dal punto di vista morale, sia attraverso un’estetica dell’eccesso e del gore che sfiora il grottesco. Ne è dimostrazione concreta la sequenza riprodotta in alto, tratta da “Countdown to Final Crisis” #5 (47) del 2008: la scena, che tocca da vicino la Legione, mostra la tragica e disgustosa morte di Una (alias una delle “copie” di Duplicate Damsel), assalita e divorata ancora viva da, ehm, un esercito di ratti. Wtf?!
Non a caso, sempre più lettori iniziano a chiedersi come mai Batman e soci indossino “le mutande sopra i pantaloni”; oppure, pretendono spiegazioni razionali a sostegno dei poteri di questo o quell’elemento della Justice League. Simili domande assumono significato solo se tutti questi personaggi vengono trascinati (per i capelli) in un contesto realistico. Altrimenti, sarebbe come interrogarsi sul perchè Nonna Papera allevi galline, o sulla morfologia degli organi interni dei Barbapapà: al meglio, potrebbe valere come spunto per fare due allegre risate; al peggio, si starebbe calpestando la “magia” del racconto originale.
A quanto pare, questa barbara direzione è frutto, sia dal punto di vista gestionale che creativo, della visione di Dan DiDio, disgraziato responsabile delle sorti del DC Universe fin dal 2002. E da pochi mesi promosso dal ruolo di Executive Editor a Co-Publisher, poltrona quest’ultima condivisa con l’altrettanto brillante Jim Lee. Le prospettive per il futuro si direbbero, insomma, non rosee. Specie considerando che il posto lasciato vacante da DiDio è stato affidato a Bob Harras, Editor-In-Chief della Marvel nel famigerato periodo della saga del clone dell’Uomo Ragno, di “Onslaught”, di “Heroes Reborn”, e di tante altre storiacce la cui sola menzione provoca in me gastrite e attacchi di panico.
Di fronte a tutto questo, a un aficionado disilluso come me non resta che crogiolarsi nell’amarezza. E veder crollare l’entusiasmo nei confronti dei propri beniamini a fumetti. Poco male: risparmierò qualche euro e aggiornerò meno di frequente il blog, cercando rifugio, magari, in quelle letture che consigliavo all’amico del Forum di Glamazonia. C’est la vie.
Il bastoncino corto è, piuttosto, quello pescato dagli attuali entusiasti della DC, o da chi vorrebbe diventarlo. Che si ritrovano tra le mani la peggiore delle punizioni dantesche: fumetti di matrice leggera, ma che finiscono invece con l’essere caratterizzati da immagini crude e pesanti come quelle, riportate in basso, tratte da due albi consecutivi di “Justice League of America” (già, i vecchi “Super Amici”) del 2009. ‘Nuff Said.
Il cimitero delle balene di carta
Fin dalle origini, negli Stati Uniti il fumetto si è caratterizzato come un linguaggio popolare. Poggiando su una grande distribuzione, dalle edicole ai centri commerciali, editori “massificati” come DC e Marvel hanno saputo ammaliare coi loro “comics” diverse generazioni, richiamate dal canto di coloratissime copertine letteralmente esposte ad ogni angolo di strada.
Nell’ultimo ventennio, tuttavia, il mercato del fumetto USA ha reagito male all’emergere di una crescente concorrenza nell’intrattenimento, contraendosi nella micro-distribuzione di soli negozi specializzati. Ciò ha condizionato le strategie delle publishing house non solo nel marketing, ma anche sotto l’aspetto creativo: a funzionare in fumetteria, infatti, è solo materiale per iniziati nostalgici, che trascura i giovani e, in generale, il grande pubblico.
Diversamente da luoghi come edicole o drogherie, dai cui espositori gli albi a fumetti hanno a lungo trovato posto nella sporta di mamme con figli, i “comics shop” hanno una diffusione assai meno capillare, per giunta recentemente amputata – come anche nel caso delle librerie di varia – dall’estenuante crisi economica.
È un ambiente eremitico, quello dei negozi specializzati, che richiama prevalentemente pellegrini già iniziati al culto degli eroi di carta. L’appeal di questi micro-templi sta tutto in una promessa dal sapore faustiano: fornire un assaggio della perduta infanzia. Non c’è quindi molto ossigeno per le nuove proposte, laggiù, ma solo per quei personaggi e generi legati alla gioventù degli adulti di oggi.
Il cortocircuito è lampante: i comics di massa sono tradizionalmente indirizzati alle nuove generazioni, consumatori principe di qualsiasi entertainment, ma l’effetto nostalgia non può sibilare che per i grandi. L’unica fascia demografica abbastanza danarosa da fronteggiare l’inevitabile rincaro dei prezzi imposto da tirature “dry”.
Tuttavia, premere il tasto del rimpianto non è sufficiente: per riaccendere la passione sopita, bisogna dimostrare ai papà che anche le armi di seduzione dei loro beniamini di gioventù sono diventate, a loro volta, adulte. In questo senso, la strada percorsa dalle major è la più scontata: quella del sesso, del sangue, della morbosità. Che, però, finisce inevitabilmente col tagliar fuori tutti coloro che cresciuti ancora non sono.
Questa schizofrenia crea un vero e proprio circolo vizioso, che castra l’aspetto “di massa” del fumetto “mainstream”. E non bastano i tentativi di allargare la maglie del mercato, invadendo le librerie generiche con ristampe in volume delle saghe già edite nei “floppies” spillati: il grande pubblico ha ormai di fronte un prodotto alieno, reso ancor più distante dall’eccessiva autoreferenzialità “nostalgica” delle storie.
Inoltre, il sistema delle ristampe influenza negativamente anche la vendibilità degli albi singoli, che oggi non pubblicano quasi più soddisfacenti episodi completi ma meri frammenti dei futuri “paperback”. Diviso tra due diverse anime, il fumetto popolare americano stenta a ritagliarsi una precisa identità di mercato, al contrario ad esempio dei concorrenti manga giapponesi.
Insomma, lontano dagli occhi, lontano dal… portafogli: il desiderio di acquistare, si sa, scaturisce dalla visione. Ma negli Stati Uniti il fumetto “pop” è migrato in un habitat nuovo, con visibilità scarna. E, per sopravvivere, ha dovuto adattarsi, snaturandosi in prodotto di nicchia.
I grandi editori sembrano rassegnati: non vedono il fumetto come un linguaggio ma come un mero supporto, datato, da tener vivo (in coma) per i soli collezionisti. Eppure, come la musica è sopravvissuta al vinile scoprendo il digitale, anche i comics potrebbero rinnovarsi nel segno delle nuove tecnologie, e riproporsi finalmente in bella mostra ad ogni angolo. Magari, del web.
Tags: Blackest Night, Bob Harras, Countdown to Final Crisis, Dan DiDio, DC Entertainment, Duplicate Girl, Glamazonia.it, James Robinson, Jim Lee, Justice League of America (vol.II), Mark Bagley
Mi stavo giusto chiedendo perché non avessi più postato niente!
Sai quanto sono d’accordo con quello che scrivi: è veramente un brutto spettacolo vedere come un universo narrativo così ricco sia stato ridotto da un manipolo di creativi miopi che producono storie morbose per una nicchia di persone tristi. Meno male che c’è Batman: The Brave and the Bold!
sì, assolutamente! è un po’ poco, però
Evvai! Sono uno dei 3 o 4 lettori!
Devo finire di leggere il pezzo, mi manca l’ultima parte. Scrivi benissimo e cose interessanti, mai noioso ma io sono la pigrizia fatta persona e vista l’ora, mi fermo e riprendo domani.
Concordo su tutto anche se io alla fine dei giochi, incasso il colpo e mi accontento. Non sempre, eh! Da appassionato che comprava quasi tutto, in 2 anni ho eliminato i 2/3 dei fumetti DC che seguivo.
In parte ne giova il mio portafoglio e in parte ne giovano altri editori.
Al tuo secondo problema, da buon nerd, volevo aggiungere che l’incompetenza degli editor crea spesso incongruenze narrative tra serie vicine, spesso parallele. Per non parlare di quando le contraddizioni avvengono ALL’INTERNO DI UNA STESSA SERIE.
Sarò un ultrà nerd, sarò un cacacazzi, sarò quello che vi pare ma a me fanno girare la palle anche queste piccole cose.
ottime riflessioni, che condivido…
come vedi ci sono anch’io tra i 3/4 lettori…
magari questo e’ solo un ciclo e, mgari, tra due tre anni ci saranno tante belle serie di cui parlare e scrivere della DC, almeno io lo spero…:-)
Che bell’articolo, Fa’, quanto scrivi bene!
Sono d’accordo su tutto, c’è poco da dire, purtroppo. Forse serve un collasso definitivo del sistema-fumetto americano che possa rompere il circolo vizioso e far ricominciare tutto da zero. O, chissà, magari l’apertura alle librerie di varia e l’inaugurazione di serie solo in volumi riporterà alla differenziazione di pubblico.
Speriamo…
grazie dei complimenti
p.s. come volevasi dimostrare: uno, due, tre e quattro lettori 😛 (pochi ma buoni!)