Edicola legionaria: Final Crisis – Legion of 3 Worlds #5

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Sliver cover di "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5

Sliver cover di "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5

Dopo un’attesa di ben sette mesi oltre il previsto, mercoledì 22 luglio 2009 è passato alla storia del fumetto come il giorno della fumata bianca: il numero conclusivo di “Legion of 3 Worlds” è finalmente uscito. Alleluja! Alleluja!
Ultimo strascico del famigerato crossover DC dell’autunno-inverno 2008, “Final Crisis”, questa miniserie di Geoff Johns, George Pérez e Scott Koblish ha visto il personaggio di Superman riunirsi ai suoi compagni d’avventura giovanile della Legione dei Super-Eroi, in una lotta disperata per salvare il futuro dalle macchinazioni del perfido Time Trapper.

Oltre alla godibilità della storia in sè, piacevolmente intensa e dai toni epici, il più importante motivo di interesse per questa saga risiede senza dubbio in un aspetto, di meno rispettabile valore letterario, ad uso e consumo dei soli aficionados.
Dopo aver confuso le acque “resettando” per ben due volte l’intera cronologia della Legione, dando vita di fatto alla bellezza di tre versioni differenti del team futuribile, la DC Comics ha deciso di fare marcia indietro e ripescarne l’incarnazione delle origini. Con “La Legione dei 3 Mondi”, la presenza delle due istanze più recenti di Saturn Girl e soci (create rispettivamente nel 1994 e nel 2004) è stata così giustificata a livello narrativo come una naturale ridondanza interna al Multiverso. Insomma, i gruppi “post-reboot” sono stati etichettati come dopplegangers alternativi dell’originale Silver Age e relegati al ruolo subalterno di meri comprimari occasionali.

Sull’onda di questo eloquente obiettivo editoriale, la trama scorre veloce attraverso i migliori clichè di genere, mantenendo fino all’ultimo un ritmo e una tensione elevati. Pur nel contesto di una saga supereroica piuttosto ordinaria e dall’esito già scritto, il finale di “Legion of 3 Worlds” riserva comunque delle sorprese, più e meno positive, meritevoli di approfondimento.

Una prima dolente nota riguarda la parte grafica, che mostra un George Pérez in evidente deficit di forma. Mi sembra più che mai assurdo aver dovuto attendere così tanto per vedere questo albo sugli scaffali, per poi ritrovarsi comunque tra le mani un prodotto realizzato con evidente frettolosità. L’impressionante attenzione al dettaglio dei primi numeri ha lasciato il posto a un segno molto più stilizzato, più “rough”, con risultati che a mio avviso deludono le aspettative. La qualità grafica resta buona, ma non si può negare come quest’albo abbassi il valore estetico totale di un’opera finora davvero impeccabile dal punto di vista dei disegni.

Immagine da "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5, disegni di Geroge Pérez e Scott Koblish

Immagine da "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5, disegni di Geroge Pérez e Scott Koblish

Sul fronte del racconto, “Legion of 3 Worlds” #5 si caratterizza per l’insolito ruolo di mattone conclusivo di ben due trilogie a fumetti, entrambe progettate dall’architetto Geoff Johns.
La prima, iniziata nel 2007 con la “Lightning Saga” e proseguita l’anno successivo sulle pagine di “Action Comics”, è quella che ha reintrodotto la storica Legione pre-Crisis nel qui e ora del DC Universe moderno.
Ecco dunque giungere allo zenith i numerosi binari narrativi in corso da allora, oltre a quelli appositamente introdotti dall’autore in questa sede per garantire una più autonoma leggibilità allo spin-off di “Final Crisis” (vedi ad esempio la maturazione del rapporto sentimentale tra Wildfire e Dawnstar). Se pure alcuni canali sono lasciati volutamente aperti con lungimiranza per fare da propellente alle storie a venire, molto affascinante in questo senso il dramma della White Witch, la sceneggiatura non odora di buchi nè trasuda fastidiosi sospesi.
Con tanta saporita carne al fuoco, duole più che mai l’idea che il futuro editoriale della Legione stia nel ruolo di mera “backup” alle avventure di Kon-El su “Adventure Comics” (vol. III). Unica consolazione è che questa degradante esperienza non sia una novità per il franchise; che, in passato, è sempre riuscito a riguadagnare il meritato spazio nella checklist.

Ma “Legion of 3 Worlds” porta a compimento anche la trilogia dedicata all’altro avversario di turno, il malvagio Superboy-Prime, incarnazione alternativa di Clark Kent proveniente dal mondo “reale” di noi lettori di comics.
Johns ha sempre dichiarato di nutrire una passione speciale per questa figura, della quale ha curato da capo il ritorno in scena, prima su “Infinite Crisis” (2005-06) e quindi nella storyline di Lanterna Verde “Sinestro Corps War” (2007-08). In quelle pagine, il personaggio nato nel 1895 dalla penna di Elliot S! Maggin è stato riplasmato da romantica realizzazione di un sogno ad occhi aperti (chi non ha immaginato almeno una volta di poter compiere davvero le gesta sovrumane dell’Uomo d’Acciaio?) a capriccioso maniaco omicida.
Tanto odio da parte del giovane villain esplode dalla disperata nostalgia che egli nutre verso il perduto pianeta natale, (momentaneamente) cancellato dall’esistenza nel remoto “Crisi sulle Terre Infinite” (1985-86). Il ragazzo è da allora alla continua ricerca del suo mondo; o, all’occorenza, della possibilità di ricrearne altrove uno altrettanto “puro” e “nobile”.
Nelle ultime pagine di “Legion of 3 Worlds” #5, in seguito a un esilarante colpo di scena che preferisco non svelare, un incredulo Superboy-Prime ritrova finalmente la strada di casa. Un rientro amaro, però: il character è ormai inadatto all’alto standard morale da lui stesso attribuito alla sua terra madre e necessita per primo della drastica redenzione che, sulle pagine di “Infinite Crisis”, lui stesso aveva prospettato per gli eroi del “corrotto” e problematico (sigh) DC Universe.

Questa immagine potrebbe costituire un soddisfacente capolinea a questo binario della storia, chiudendone il cerchio con serietà e perfino restituendo ai mediocri capitoli precedenti della trilogia una maggiore dignità simbolica.
Nei confronti del crudele villain sembra scattare un meccanismo riabilitativo basato sulla punizione ma soprattutto sull’educazione genitoriale, a ribadire l’importanza della guida dei Kent nella costruzione morale di un vero “Superman”. Su Earth-Prime, infatti, gli eventi del cosmo DC sono di pubblico dominio sotto forma di storie a fumetti; è così che la famiglia di Superboy-Prime, nell’accogliere a casa il figliol prodigo, può porre lo sciagurato giovane faccia a faccia con le sue colpe di folle omicida. Come diceva qualcuno: la potenza è nulla senza controllo. Nè senza ideali, come sottolineato dalle premesse della Legione stessa (vedi a tal proposito la mia rilettura di “Adventure Comics”, vol.I, #247).
Purtroppo, dopo solo una manciata di tavole, segue un ulteriore, agghiacciante, epilogo. Che frantuma ogni possibile valorizzazione metaforica della saga del maudit Clark Kent alternativo. Questi viene infatti mostrato rinchiudersi in cantina, sommerso da pile di comic books, a inveire attraverso la rete contro Superman e soci. Con mamma e papà succubi delle molestie dello scatenato e degenere figlio.

Immagine da "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5, disegni di Geroge Pérez e Scott Koblish

Immagine da "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5, disegni di Geroge Pérez e Scott Koblish

In soldoni, Johns paragona con una sorta di sberleffo quel manigoldo di Superboy-Prime, icona di una violenza (anche verbale), selvaggia, infantile e senza rimorsi, allo stereotipo del “fanboy”, cioè del fumettofilo più invasato e intransigente.
In effetti, fin dall’inizio della sua parabola moderna, la caratteristica chiave del “nuovo” Superboy-Prime è proprio quella di non accettare i rinnovamenti, pur dolorosi; di reagire con rabbia e disperazione all’inevitabile evolversi dello status quo dell’esistenza. Proprio come i lettori più ottusi ed accaniti, che infiammano le message boards di tutto il mondo con critiche quasi sempre aspre, velenose e preconcette nei confronti di ogni autore che si permetta di cambiare fidanzata o taglio di capelli al loro eroe preferito.

Il messaggio tra le righe è chiarissimo. Ma inciampa in un’evidente ironia di fondo. È il proverbiale bue che da del cornuto all’asino: se una generazione di “otaku” dei comics come quella dei fanboys ha ormai assunto un ruolo dominante tra il pubblico non è dovuto che alla politica editoriale di publishing house come la DC Comics.
Al rischio di coltivare mercati volubili come quello della grande distribuzione (edicole, centri commerciali, ecc), le major del fumetto americano hanno preferito da decenni la placida sicurezza dello zoccolo duro, limitando quasi esclusivamente il proprio target ai frequentatori dei negozi specializzati. Ai “Superboy-Prime” d’oltreoceano, insomma.
È evidente come una mossa del genere sia determinante anche nell’impostazione a monte delle storie, studiate ad hoc per solleticare un audience che sguazza e gode nell’autoreferenzialità più estrema, in tutti quegli elementi cioè che maggiormente ne determinano l’autoriconoscimento in una “casta” chiusa di soli aficionados. Secondo me, sono proprio feti informi come “Infinite Crisis” e tante altre saghe abortite da autori come lo stesso Johns a favorire, nella pratica, la definizione della tribù di “nerd” parodizzata con ferocia nel finale di “Legion of 3 Worlds”.
Certo, il sorgere della rete ha senz’altro favorito il duplicarsi di questo deprimente tipo umano, che lontano dal PC è quasi sempre un “outsider” innocuo. Su internet, invece, il fanboy può vivere una vera e propria seconda vita, fatta di gerarchie e regole tribali costruite ad hoc per garantirgli, almeno in quel contesto, un ruolo sociale rilevante. Attenzione, però: è un ritratto, questo, che si può tristemente espandere alla maggioranza delle agorà virtuali, anche non dedicate al fumetto.

Mi dispiace, Johns, ma così non si fa. Che senso ha accanirsi contro gli utenti del forum DC (l’autore ce lo mostra in una vignetta mentre viene frequentato da un iracondo Superboy-Prime), noto coacervo di fissati senza via di scampo, dopo aver appena prodotto alcune delle pagine a più alto fattore di “fanboytudine” della storia dei comics (vedi ad esempio la sequenza con gratuiti rimandi alla Legione di Giffen/Bierbaum)? 
Geoff, se sei davvero così infastidito dalla categoria dei “fissati”, in maniera per inciso legittima e condivisibile, inizia con lo scrivere storie diverse, aperte a un potenziale pubblico di tutte le età, al contrario di “spiegoni” gore come “Blackest Night”, “Brainiac” e chi più ne ha più ne metta.
Mi viene da pensare che, a questo punto, tanto odio per gli eroi DC da parte di Superboy-Prime non possa che realizzarsi in una carriera da sceneggiatore. D’altronde, il word processor è più potente della spada. E della vista calorifica.

Immagine da "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5, disegni di George Pérez e Scott Koblish

Immagine da "Final Crisis: Legion of 3 Worlds" #5, disegni di Geroge Pérez e Scott Koblish

In definitiva, alla luce dell’ambiguo finale, qual è il messaggio che questa storyline ci comunica?
All’inizio di “Legion of 3 Worlds”, Superman si assume il peso di un incarico apparentemente disperato: redimere Superboy-Prime e ricondurlo sulla retta via di “truth, justice e american way”. La determinazione dell’Uomo del Domani stimola inevitabilmente la riflessione sulla concreta possibilità di realizzare, e a che prezzo, un’opera del genere.
Ma il punto dovrebbe essere: cosa è stato in prima istanza a corrompere il patetico ex-eroe di Earth-Prime? La lontananza da una figura familiare guida? Le successive manipolazioni di Alexander Luthor, astuto Machiavelli i cui “mind games” hanno avuto gioco facile nella fragile psiche di un ragazzino confuso? Perchè, al tramonto della miniserie illustrata da George Pérez, si può ormai dire che su entrambe queste cicatrici sia stato posto un enorme cerotto. Eppure, le condizioni psicologiche di Superboy-Prime sembrano ugualmente solo peggiorare, come per inerzia, sempre più a picco dentro un baratro di inspiegabile nichilismo. Che, infine, riesce addirittura a trascinare nel buio anche la figura chiave dei genitori.

No, un fil rouge logico non c’è. Se non quello della superficialità dell’autore, artefice di una trama sostenuta solo dall’unico valore di uno “shock” insistente, banale e fine a se stesso. Perfino un curioso tentativo di meta-fumetto, con Superboy-Prime che si rivolge direttamente al lettore guardando dritto nella “macchina da presa”, risulta solo come un inutile e sciocco effetto speciale (soprattutto considerando che allora il personaggio si trova su Earth-Prime, cioè nel mondo dei lettori e non, teoricamente, in un universo di carta). L’inevitabile paragone con “Animal Man” di Grant Morrison, serie cult del 1988 che vanta tra i suoi momenti più celebri proprio una simile situazione metanarrativa, è imbarazzante per l’opera di Johns, autore ancora acerbo che rispetto al collega scozzese soffre chiaramente un abissale deficit nella capacità di astrazione filosofica, simbolica, metaforica.

Un vero peccato, dunque, per questa venatura mediocre che opaca lo splendore di una miniserie, nel suo genere, riuscita. Il giudizio complessivo resta comodamente nella sufficienza, ma con un amaro retrogusto di ignorante pretestuosità.

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