Sono moltissime le storie che, sul più bello, sfoderano dalla manica un colpo di scena folgorante, uno di quelli che induce a rivedere con occhi diversi quanto successo fino ad allora nel racconto. Ecco, leggendo “Legion of Super-Heroes” (vol.VI) #3 ho vissuto proprio un’epifania del genere. Ma non in relazione alla trama, come di solito avviene in questi casi, quanto invece alla scrittura di Paul Levitz, le cui meccaniche mi erano spesso risultate in precedenza un po’ oscure.
Allo stesso modo in cui un autore dovrebbe stabilire da subito le “regole” del mondo in cui si svolge la storia che racconta, è necessario secondo me che anche alcuni aspetti del modo in cui questa viene narrata siano resi altrettanto trasparenti al lettore. A pensarci bene, è un “venirsi incontro” che per certi versi accade anche nella quotidianità, nella comunicazione spicciola di tutti i giorni.
L’ultimo episodio del “volume six” ci pone finalmente nelle condizioni di effettuare questo percorso, di svolgere il balzo immaginativo necessario a mappare una volta per tutte le dinamiche del linguaggio neo-levitziano. Ed è una rivelazione importante, questa, che induce a rileggere davvero con occhi diversi i numeri precedenti, anche più rispetto a quanto avrebbe fatto un banale cliffhanger.
Andiamo però ad analizzare meglio cosa intendo, e se a mio parere questo cambio di prospettiva migliora il godimento generale della serie oppure no.
Il motore principale della questione gira attorno alla trama di Saturn Queen. Nel numero scorso, la malvagia co-fondatrice della Legione dei Super-Criminali si era divertita a manipolare telepaticamente alcuni legionari, in una classica uber bravata da villain. Al termine dell’episodio, come indicavo già nella mia recensione, sembrava però che la vicenda avesse raggiunto una sua naturale conclusione, se non altro per il momento. Nonostante, in conseguenza di ciò, la comparsata della titaniana risultasse poco efficace e gratuita. Con una certa sorpresa da parte del sottoscritto, invece, l’alter ego di Eve Aries è sulla breccia anche nel #3, che prosegue lo scontro tra lei e la Legione da dove lo avevamo lasciato trenta giorni prima.
È qui la rivelazione: per leggere il “volume six” bisogna smettere di ragionare nei termini di una sceneggiatura “da manuale”, una che evidenzi i “sospesi” da proseguire. Con le sue cesure ed ellissi temporali improvvise e violente – vedi in questo senso anche la trama di Earth Man – il “nuovo” Paul Levitz tende a far procedere la storia in maniera inusuale, divincolandosi tra numerosi binari dal ritmo scattoso e sincopato.
Viene da interrogarsi sull’effettiva efficacia di questo modo di raccontare, che personalmente ritengo quantomeno frustrante, ma questa se mai è materia per un altro articolo.
A proposito di ritmo, occhéi i tempi serrati e gli “stacchi” veloci, ma una maggiore attenzione alla regia non guasterebbe.
Per dirne una, a tav. 17 il dottor Aven, maestro di Saturn Girl già visto nel #1, si rivolge al professor Harmonia Li, chiedendosi vanamente come mai il popoloso asteroide di Saturno sia esploso. Noi lettori sappiamo bene come quella tragedia sia stata causata proprio dalla hubris della scienziata del Time Institute, e sarebbe stato bello ai fini della scena poter vedere in volto la reazione della Li, che tiene nascosta la sua colpa, alle parole del titaniano. Invece, nulla da fare: ancora una volta, la tavola si interrompe come di colpo.
Questa scelta non mi è piaciuta per niente: è come far vedere una persona che lancia una freccia ma non l’attimo in cui questa colpisce il bersaglio. Coitus interruptus? Forse si potrebbe dire così, o meglio ancora a mio parere potremmo parlare di difficoltà nell’attribuire senso alla narrazione.
Tornando alla trama in termini meno teorici, due considerazioni. La prima riguarda Saturn Queen e la sua ormai defunta patria: è interessante, infatti, il fugace rimando della criminale al fatto che “il suo popolo” abbia incontrato proprio su Titano i lanothiani. Chiaramente, con quella battuta Levitz cerca di accontentare i fan più integralisti, sistemando le piccole incongruenze di continuity generate da “Last stand of New Krypton”, dove era stata mostrata la fondazione della colonia di Titano proprio da parte del popolo dei non antropomorfi lanothiani. Visto che nel DC Universe tra quella storia e il futuro della Legione trascorrono ben mille anni, per colmare il gap xenobiologico sarebbe bastata tuttavia solo un po’ di immaginazione, ma tant’è.
In generale, riguardo agli eventi di questo numero, concordo con la critica espressa da Matthew Elmslie nel suo blog Legion Abstract. L’albo pare quasi di transizione, e non presenta conflitti gran che interessanti. Paul, santo cielo, occhio a non far calare la tensione già al #3 o so’ cazzi, la gente scappa!
Ad esempio, la parte dedicata ad Earth-Man è decisamente blanda: coinvolto a sorpresa in una missione da Lanterna Verde, il riluttante eroe non sembra mai correre un vero pericolo. Forse con una regia più furbetta la tensione avrebbe potuto essere tramessa con più intensità, magari suggerendo un claustrofobico senso di minaccia nella sequenza in cui Earth-Man viene stritolato dal polipone (madonna santa, un polipone, che tristezza) che si intravede già sulla copertina. E in realtà non escludo che l’idea di base fosse proprio questa, visto l’effetto “liberatorio” della tavola dove Sun Boy arriva in soccorso al collega. In ogni caso, ci tengo a sottolinearlo, nonostante questo possibile problema le pagine non sono affatto brutte, anzi: nessuna crisi à la “Adventure Comics”, qui.
Viste la considerazioni appena fatte sulla scrittura di Levitz, rimarrò in attesa riguardo al seguito della trama sulle Lanterne Verdi. Ma ancora una volta si resta con il dubbio: è finita o no la storia, per quanto riguarda Earth-Man? Boh.
Ho il sospetto che l’idea di fondo sia quella di redimere l’ex criminale della Justice League, squagliando la sua xenofobia attraverso la partecipazione forzata al Green Lantern Corps. Eppure, se inteso unicamente come gruppo multietnico, il corpo di polizia spaziale fondato dai Guardiani apparirebbe come un elemento ridondante rispetto alla Legione, per cui non può che esserci sotto qualcosa d’altro.
Ciò che mi piacerebbe vedere sarebbe però che l’eventuale percorso di redenzione da parte di Earth-Man fallisse, cosa che ci regalerebbe un cativaccio davvero da antologia. E, in assoluto, credo che il comicdom non possa proprio permettersi di perdere uno dei rari villain definiti in quanto tali dal fatto di essere razzisti. Specie di questi tempi.
Un appunto finale riguardo a Sensor Girl, che in questo numero fa un’apparizione breve ma intensissima. Che bello rileggere questo personaggio come scritto da Levitz: pare che solo lo scriba newyorkese sappia dipingere a modo il carattere dell’ex principessa Projectra, un’eroina regale e tremendamente carismatica. Spero di vederla in scena sempre più spesso, perchè questo piccolo assaggio è bastato ad esaltarmi.
Concludo con poche righe sui disegni. Anche questo mese il bravo Francis Portela torna a dare una mano al penciler titolare Yildiray Cinar, e meno male, perchè l’artista turco è chiaramente pressato dalle scadenze e sta pian piano iniziando a tirar via. Sarebbe un peccato costringere il ragazzo a ulteriori tour de force massacranti, perchè se posto nelle condizioni di lavorare con ritmi umani sa dimostrare davvero grandi doti. Per fortuna, pare che nei prossimi mesi il numero delle tavole mensili richieste a Cinar sia destinato a calare, forse grazie all’inserimento di backup story: meglio così!
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