Penultima razione di recensioni arretrate: questa volta l’attenzione è tutta per il baldo Mon-El, al centro da svariati mesi di una lunga avventura giovanile che precede cronologicamente il suo ingresso nella Legione dei Super-Eroi. Questo non significa, però, che il ragazzo non possa già aver trovato asilo tra le file di un gruppo: così, al momento, a fare compagnia al crociato in rosso e blu ci pensa addirittura la Justice League, con la quale Mon-El è protagonista di un team-up recensito nella seconda parte di questo articolo.
Ma andiamo con ordine. Indurito dalle esperienze drammatiche subite in seguito a Codename: Patriot, il nostro eroe è finalmente sicuro nello stringere il testimone di paladino di Metropolis, cedutogli con fiducia da Superman: sono queste le premesse di “Man of Valor”, l’ultima storyline in solitario per il daxamita prima del climax che, tra i mesi di marzo e di maggio, porterà a compimento l’intero affresco di “New Krypton”.
La storia, che si snoda tra i numeri #694, #695, #696 e #697 di “Superman” e Action Comics #885, è senz’altro scorrevole, ma di difficile valutazione.
Da un lato, essa costituisce una riuscita maturazione delle trame che, nell’ultimo anno, si sono incentrate sull’alter-ego di Jonathan Kent: Mon-El è un eroe sempre più tridimensionale, e non è affatto cosa ardua per il lettore prenderne a cuore i sentimenti e le incertezze così umane, ben costruite a partire da tocchi di pennello come i “tic” della pronuncia.
D’altro canto, però, il fatto di aver voluto contraddistinguere questa storyline in modo netto, a partire dalla scelta insolita di marchiarla con un titolo, genera delle aspettative di circolarità del racconto che invece sono del tutto disattese.
Pur nell’evidenza che la saga non fosse che un tassello di “New Krypton”, era lecito auspicare che aprisse e chiudesse delle parentesi, che portasse avanti un micro-discorso autonomo su qualcosa; invece, ogni elemento sollevato in queste pagine viene lasciato travasare direttamente nel futuro crossover “Last Stand”. Al di là del fil rouge sul “nuovo” Mon-El, sottolineato pure dal nuovo look dell’eroe alieno, quelli di “Man of Valor” avrebbero potuto essere – anzi, sono – degli episodi qualsiasi di “Superman”, senza alcun particolare legame tra loro.
Sia chiaro, quello che critico allo sceneggiatore James Robinson è tutto sommato un peccatuccio, ma a mio avviso è anche la spia di una certa superficialità con la quale vengono concepite – e vendute – le storie.
A suo tempo, infatti, “Man of Valor” è stato spacciato addirittura come un possibile punto di partenza per nuovi aspiranti seguaci di Mon-El, ma di fatto sul tavolo c’è tutto il contrario di questo: sarebbe bastato poco per buttare un ossicino anche ai nuovi eventuali lettori, regalando loro la soddisfazione di un pasto il più possibile completo e soddisfacente.
Sul versante grafico, comunque, c’è di che rifarsi gli occhi, senza riserve. Dopo un primo episodio, comunque positivo, frettolosamente illustrato da Javier Pina, il testimone passa a un ottimo Bernard Chang, che con il suo segno corposo e dinamico governa alla grande la scena, soprattutto nelle numerose scene d’azione.
Oltre ad occuparsi della collana “Superman”, Robinson è da poco anche lo scriba di “Justice League of America” (vol. II), titolo che ha ereditato dopo una sfortunata gestione da parte di Dwayne McDuffie.
Il ciclo dell’autore inglese, che promette di durare molti anni, ha preso le mosse da una miniserie spin-off, “Cry for Justice”, nella quale è venuta a formarsi la line-up dell’attuale team di protagonisti.
Su “Cry for Justice” – sulle cui pagine, per inciso, Mon-El appare giusto in una tavola o due – potrei sbrodolare interi saggi critici: mi limiterò a spiegare, in breve, perchè la ritengo una delle peggiori storie DC degli ultimi anni. Beh, se non altro non mi ha lasciato indifferente!
La trama, in estrema sintesi, vede un gruppo di eroi DC indagare singolarmente su piste destinate ad incrociarsi, e la cui direzione comune punta al pericoloso villain Prometheus. Ma il cammino di questa caccia all’uomo, purtroppo, attraversa un lago di sangue: così, dopo una vera e propria ecatombe, la frustrazione farà esplodere in uno dei leaguers il desiderio di chiudere la partita nel peggiore dei modi, quello di togliere la vita al proprio avversario.
La truce sequenza di morti e dismembramenti (non scherzo) di “Cry for Justice” è lo specchio ideale della DC di Dan DiDio, inadatta a qualsiasi altro target di lettori oltre agli adulti nostalgici. Per DiDio e soci, l’unico approccio narrativo possibile consiste nello strillare il dramma e la violenza attraverso esasperazioni di livello pornografico, che umiliano e annichiliscono la struttura sottilmente allegorica che è alla base di un universo narrativo come il DC Universe. Un episodio dell’intelligente League anni ’80 di Giffen e DeMatteis, per intenderci, sta a un film di Hitchcock come “Cry for Justice” sta a “Cannibal Holocaust”: ’nuff said.
Grazie al cielo, la vicenda narrata su Justice League of America (vol. II) #41, #42 e #43, episodi successivi della saga e unici ad ospitare Mon-El, è di altro tenore, pur proseguendo in parte le abominevoli trame già in corso su omicidi e amputazioni varie.
Si può dire che la storia di questi tre numeri, dal titolo “Team History”, sia un valido esempio di come risolvere il problema di consistenza che rimproveravo a “Man of Valor”: è chiaro che non è tutto qui, che questo è solo il prologo di un corpus più esteso, ma a fine lettura si arriva già a una prima conclusione, che riguarda nello specifico le motivazioni dei nuovi leaguers.
Tra ingressi ed addii, infatti, in queste pagine il rooster dei protagonisti cambia di continuo: checchè se ne possa pensare, ci suggerisce Robinson, per un super-eroe non è per nulla scontato trovare tempo e motivazioni da investire in un progetto, pur importante, come la Justice League. Per agire in gruppo bisogna essere in primis, appunto, un gruppo, e il focus di “Team History”, che si conclude con l’individuazione “per levare” di un nuovo nucleo solido per la JLA, fa leva proprio su questo.
Discreti i disegni di Mark Bagley, artista ormai costretto dalla sua stessa fama a ritmi di lavoro troppo serrati per poter rendere quanto potrebbe. Ad aggravare la situazione gli inchiostri spigolosi di Hunter e Rapmund, che non contribuiscono per nulla a dare corpo e morbidezza alle figure schizzate del penciler di Francoforte.
Tristemente, la presenza di Mon-El nell’affresco di cui sopra è quasi irrilevante. Nel #43, addirittura, il daxamita non apre neppure mai la bocca. Sigh.
Per un’apparizione più sostanziosa dell’eroe all’interno della League bisogna rivolgersi ad Action Comics #886, dove il futuro legionario fa capolino nella co-feature dedicata a Capitan Atom.
Concludo ricordando l’uscita, a febbraio, di Superman: Mon-El vol. 1 HC, che ripropone i primi passi di Mon-El come difensore della Città del Domani. Per conoscere il mio parere su queste storie, basta spulciare a questo link tra le precedenti recensioni pubblicate nel sito che avete di fronte: buona caccia!
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