Adventure Comics (vol. I) #247
Aprile 1958
Copertina di Curt Swan (matite), Stan Kaye (chine)
Lettering di copertina: Ira Schnapp
Titolo: “The Legion of Super-Heroes”
Soggetto: Mort Weisinger, Otto Binder
Sceneggiatura: Otto Binder
Editor: Mort Weisinger
Disegni: Al Plastino (matite e chine)
Lettering: [sconosciuto]
Prima edizione italiana: Albi del Falco #332, Mondadori, Agosto 1962
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Chiudete gli occhi: è il 1958.
In radio rombano i pezzi di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis, e le dolci ballate dei Platters. Come una sorta di amaro presagio, agli Oscar ha appena trionfato “Il ponte sul fiume Kwai”: dall’altra parte del mondo, nel lontano Vietnam, i gruppi di resistenza dei Viet Cong iniziano a manifestarsi con azioni di guerriglia sempre più violente, mentre le truppe di Eisenhower moltiplicano la loro presenza sul territorio.
Il 31 gennaio gli Stati Uniti rispondono al lancio del satellite artificiale russo Sputnik, avvenuto solo poche settimane prima, sputando nel gelo dello spazio l’Explorer 1. La fantascienza si fa sempre più largo al di fuori dei pulp magazine fin dentro nel mondo reale, elettrizzando ulteriormente gli stimoli futuristi degli autori di fiction sci-fi.
Sono anni di grandi contraddizioni, questi. Il repubblicano Eisenhower, agli sgoccioli del suo secondo mandato presidenziale, cerca di traghettare il Paese verso una maggiore integrazione razziale. Il processo non è indolore nè pacifico, e si somma alla tensione che la Guerra Fredda già fomenta ad ogni livello della società americana.
Nonostante questi squilibri, il crescente splendore economico della classe media e il clima di relativa pace mondiale sono un habitat sufficiente alla genesi di una nuovo gruppo sociale, figlio del benessere. Nel corso degli anni ’50, gli adolescenti iniziano ad essere riconosciuti sempre più come una realtà distinta rispetto a quella degli adulti, con ideali e gusti propri e indipendenti. Sollevata dalla responsabilità di contribuire al bilancio domestico, la neonata categoria dei teenagers può finalmente realizzare un sogno millenario: dedicarsi a tempo pieno allo studio, ai sentimenti e allo svago. E non necessariamente in quest’ordine!
Questo elemento è forse una delle maggiori chiavi di lettura dietro alla nascita della cosiddetta Silver Age of Comics. Dopo circa un decennio di risacca, è infatti sul finire degli anni ’50 che il fumetto super-eroico torna a farsi vivo in maniera prepotente. La pubblicazione di “Showcase” (vol.I) #4 (ottobre 1956), albo che introduce il personaggio del nuovo Flash, è generalmente riconosciuta dagli storici della nona arte come la nota iniziale di una sinfonia di nuove idee e di sperimentazioni comunicative che andrà a caratterizzare l’intero decennio successivo. L’età d’argento è cominciata.
All’interno di questa fresca corrente, il primo super-gruppo a presentarsi al ritrovato audience è proprio la Legione dei Super-Eroi, che anticipa non solo i Fantastici Quattro della Marvel (1961) ma la stessa Lega della Giustizia di casa DC Comics (1960). Super-teenagers in un contesto fantascientifico: sarebbe stato più strano solo se nessuno, allora, ci avesse pensato.
Una trovata come quella della Legione non poteva che trovare spazio all’interno della feature DC che più di ogni altra strizzava l’occhio al pubblico puberale, quella dedicata a Superboy. Ma chi era costui? E in che termini la Legion of Super-Heroes è stata introdotta nelle sue avventure?
La figura di Superboy, che negli anni Cinquanta era forse più popolare della sua controparte adulta, è stata oggi arbitrariamente rimossa dalla storiografia finzionale del Superman moderno. Per questo motivo, i lettori più giovani potrebbero ignorare ciò che all’apparenza pare invece scontato: sotto le spoglie del Superboy originale (1944-86) non si nascondeva altri che… un Clark Kent ancora ragazzo! Nessun clone, nessun profugo di Terre alternative, ma il caro – ehm – vecchio ultimo figlio di Krypton. Solo, prima che iniziasse a crescergli la barba.
Non voglio entrare troppo nel merito di questo personaggio in sè e per sè, che da solo meriterebbe l’onore di approfondimenti specifici, ma mi è necessario sottolineare che, rispetto alle contemporanee avventure di un malinconico e solitario Superman, quelle del Ragazzo d’Acciaio erano caratterizzate da aspetti più rassicuranti, a partire dallo scenario provinciale modello di Smallville. Sullo sfondo di questa ridente cittadina rurale, oggi arcinota al pubblico televisivo per via dell’omonimo telefilm, l’alter-ego di Kal-El poteva contare ad esempio sul conforto dei genitori, al contrario che in età adulta. Inoltre, pur ricalcato sul modello narrativo della futura relazione con Lois Lane, il rapporto con la fidanzatina Lana Lang era molto meno problematico e manzoniano (“questo matrimonio non s’ha da fare!”).
Ma nella Silver Age non era solo lo status quo dei protagonisti del DC Universe ad essere diverso. Anche l’habitat editoriale era molto distante rispetto al contesto del comicdom attuale.
Per cominciare, in quegli anni la distribuzione era molto più erratica rispetto a quanto accade oggi, nell’era dei negozi specializzati. Edicole e droghieri usavano ricevere ogni settimana dei pacchi di albi selezionati, tra le nuove uscite, secondo un criterio di quasi assoluta casualità. In base alla percentuale dei resi, gli editori erano comunque in grado di valutare l’indice di gradimento delle serie che producevano, stabilendo così su quali puntare con alte tirature. Altro che lotteria dei rigori!
Di contro, per i semplici lettori sarebbe stato davvero difficile avvicinarsi con approccio collezionistico a una collana a fumetti, data la concreta incertezza di trovarne con regolarità i numeri successivi presso l’abituale rivenditore. Ebbene sì, giovani aficionados: per lunghe ere, anche l’homo sapiens sapiens si è dovuto arrangiare senza poter fare ancora affidamento sui prodigi di eBay.
Ovviamente, questo sistema si rifletteva anche sulla fase creativa del lavoro dei produttori. I quali, per evitare all’audience rischiosi fenomeni di frustrazione da coitus interruptus, prediligevano incoraggiare la realizzazione di storie auto-conclusive.
E’ il caso, tra le migliaia di esempi, dell’avventura del giovane Clark Kent che sarebbe apparsa nel numero di “Adventure Comics” dell’Aprile 1958: “The Legion of Super-Heroes“.
L’idea alla base del plot, partita da un’intuizione dell’editor Mort Weisinger, è di sottolineare l’impatto storico della figura di Superboy, mostrando quanto questa avrebbe resistito all’usura del tempo per giungere, potente come non mai, a diffondere un’influenza positiva anche sulle generazioni di teenager del futuro. Una cosa da una botta e via, insomma, per un episodio apparentemente “qualsiasi”. La Storia del fumetto ha decretato che non sarebbe andata così.
L’autore scelto per comporre la sceneggiatura è Otto Binder, penna navigata e già padre di centinaia di avventure di Capitan Marvel per la Fawcett. Nel mare magnum della fantascienza di quegli anni, Binder naviga a memoria. Fin dal 1930, infatti, ha steso numerosi racconti in prosa per celebri riviste pulp come “Amazing Stories” (1926-2005), titolo che negli anni del boom ha ospitato anche nomi del calibro di Ray Bradbury, Arthur C. Clarke, Harlan Ellison e Clifford Simak. È ironico pensare come, nel 1928, fosse stato proprio un numero di quel magazine ad appassionare alla letteratura di genere un giovanissimo Weisinger: nel 1958 la sci-fi è un sottobosco in espansione, ma ancora abbastanza “intimo” da favorire curiose sovrapposizioni tra le vite di tanti “vip” del settore.
Alle matite l’italo-americano Al Plastino, artista dal segno morbido e piacevole. Nel 1959, la stessa triade di timonieri avrebbe dato alla luce un altro tassello indelebile nel mito dell’Uomo del Domani, quello della bionda kryptoniana Kara Zor-El, alias Supergirl. Che curriculum, ragazzi!
La trama vede un incredulo Superboy venire condotto nel futuro da tre ragazzi, tutti dotati di super-poteri come lui. Saturn Girl, Cosmic Boy e Lightning Boy fanno parte di un club di volenterosi che, nella Metropolis che verrà, si ispira alla figura eroica del giovane paladino di Smallville.
La tecnologia loro contemporanea consente ai tre giovani di viaggiare nel tempo per chiudere il cerchio e invitare nel club il loro stesso idolo. È un po’ come se un collettivo della Sinistra Universitaria invitasse il Karl Marx ragazzo a una riunione associativa. Ma nemmeno Superboy potrà sottrarsi all’inevitabile rito di iniziazione, costituito da tre prove… più difficili di quanto non sembrino.
Fin dall’inizio, i legionari sono fortemente caratterizzati come ragazzi allegri, spensierati e buontemponi. Secondo uno stereotipo diffuso della generazione a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, destinato a entrare nelle case di milioni di persone anche grazie a casi masscult come il celebre telefilm “Happy Days” (1974-84). Prima dell’era della TV e del computer nelle case di tutti, quella della realizzazione del “grande fratello” di orwelliana memoria, la concezione dello spasso era “lo-fi”, ben diversa dagli eccessi tecnologici del nuovo millennio.
Non a caso, nel presentarsi al giovane Clark, i tre viaggiatori del tempo esordiscono con un piccolo scherzo nei suoi confronti. Una vera e propria “vitellonata”: vestiti con abiti del presente, lasciano intendere al Ragazzo del Domani che il segreto della sua doppia identità sia diventato di dominio pubblico!
Le prove stesse del rito di iniziazione, che si svolge nelle pagine finali dell’episodio, sono in realtà “truccate” dagli scaltri legionari, che hanno nascosto al loro interno ben altro test. Anche se a Superboy viene richiesto di cimentarsi in eclatanti imprese materiali che ne esaltino gli straordinari poteri, a venire messi davvero sotto esame sono i suoi valori umani. Nel corso di ogni “fatica”, il moderno Eracle viene posto di fronte a un dilemma morale, che l’eroe dovrà risolvere rinunciando alla missione di turno pur di salvare la giornata da veri disastri.
Una curiosa interpretazione di questo “doppio gioco” da parte del club futuribile è offerta nientemeno che da John Byrne. Il celebre fumettista canadese ha espresso più di una volta una personale antipatia nei confronti della Legione, giustificata a suo dire proprio dal trattamento da questa riservato al povero Clark Kent nell’occasione del loro primo incontro. Le impressioni di Byrne, pur rispettabili, sono evidente retaggio di un’interpretazione infantile della storia di Weisinger e Binder. L’atteggiamento di Saturn Girl e soci andrebbe inteso, invece, secondo una doppia chiave di lettura, più profonda, letteraria e sociologica.
In primis, le difficoltà cui i legionari sottopongono il loro idolo non sono che uno strumento narrativo nelle mani degli autori per irrobustire il vero fulcro della storia. Sul piatto non si trova una banale sfida di super-olimpiadi, ma una verifica volta a certificare la bontà di quanto di Superboy è sopravvissuto allo scorrere dei secoli: i suoi valori positivi di giustizia e sacrificio. Non sono certo i muscoli o la vista calorifica ad aver indotto il gruppo di ragazzi del futuro a fondare un club come quello della Legione. Ciò che i ragazzi del 30° secolo conoscono e apprezzano dell’azzurrone è, se mai, la robusta eredità spirituale della “never ending battle”.
In secondo luogo, come già accennato, l’atteggiamento dei protagonisti è mutuato da quello degli “youngsters” americani dell’Età d’Argento, quelli in carne ed ossa di “American Graffiti” e “Animal House” (ma anche di “Gioventù Bruciata”). In realtà, vista la tradizionale mancanza di sensibilità degli autori di comics di fronte ai nuovi venti generazionali, viene quasi da chiedersi se il sostrato sociale di riferimento non sia ancora precedente, magari debitore dei ricordi del piccolo Binder nelle strade della Chicago degli anni ’20.
In ogni caso, l’intenzione dei creatori era senza dubbio quella di fornire un appiglio all’identificazione da parte dell’audience ideale di “Adventure Comics”. Tantopiù che il Ragazzo d’Acciaio, in conclusione, restituisce lo scherzo al mittente, rimbalzando con classe lo smacco ai neo compagni d’avventura. Insomma, lo stesso Superboy sta al gioco, riconoscendone quindi le regole.
Fantafumetto: chissà cosa avrebbe pensato di Batman il povero Byrne se il suo impatto con l’uomo pipistrello fosse avvenuto con la lettura di Action Comics #241 (1958), storico albo nel quale l’alter ego di Bruce Wayne organizza ai danni di Superman un regalo di compleanno davvero crudele, sotto forma di un pazzesco, indimenticabile “prank”!
Da quel lontano 1958, la prima apparizione della Legion of Super-Heroes è stata ristampata negli USA in tantissime occasioni. Le più recenti, a partire dall’edizione deluxe degli “Archives” (1991), possono perfino contare su un vero e proprio restauro digitale, che ha ripristinato nelle tavole di Plastino un’ideale pulizia del disegno e del colore.
Una curiosità a questo proposito riguarda la colorazione della storia, che nel corso delle varie edizioni ha subito numerose modifiche, al punto da influenzare la storiografia legionaria non solo a carattere estetico, ma anche diegetico.
Per meglio rendere alla vista l’idea che quella del titolo non fosse una “legione” solo di nome, Al Plastino ha infarcito di comparse anonime tutte le sequenze ambientate nel quartier generale del club. Al momento gli unici eroi del mythos legionario ad essere stati battezzati in sceneggiatura erano quelli della già citata triade dei “fondatori”, lasciando quindi piena libertà all’artista italoamericano di sbizzarrirsi a piacere con il resto della ciurma.
Nelle successive riproposte della storia, però, i coloristi hanno cercato, forse su indicazione degli editor, di correggere la tavolozza di alcuni di questi eroi non identificati, inserendo retroattivamente nel cast dell’episodio alcuni characters di successiva invenzione.
Qui sopra, ad esempio, ho mostrato il raffronto tra la prima e l’ultima versione di una storica vignetta tratta dal racconto in analisi. Come risalta a occhio nudo, uno dei personaggi è stato magicamente tramutato nientemeno che in Brainiac 5! E in precedenza, ad esempio nella ristampa pubblicata su “Superman annual” #6 (Inverno 1962-63), quella stessa figura era già stata ridipinta come Colossal Boy.
Attualmente, la cronologia ufficiale della Legione segnala che quel misterioso legionario dai mille volti sia da intendere in maniera definitiva come il coluano, generando così un piccolo ma affascinante paradosso temporale che andrò ad esaminare nelle future puntate di questa rubrica.
A rileggerla oggi, questa prima avventura di quello che oggi rappresenta il principale franchise futuribile del comic mainstream non può non suscitare un lieve sorriso. In questi cinquant’anni la sensibilità dei lettori è drammaticamente cambiata, rendendo del tutto inadatta all’audience del Duemila questa favola leggera dal buffo sapore retrò.
Eppure, se affrontata con l’ottica ideale del suo tempo, è difficile non lasciarsi trasportare dalla dolcezza di trovate e sentimenti rappresentati in maniera così candida (che tenera nostalgia quando i legionari invitano Superboy a prendersi un gelato “del futuro”; oggi probabilmente avrebbero preferito mostrargli ben altri prodigi della tecnica).
Disse Pablo Picasso: “Ho imparato a dipingere come Raffaello; adesso devo imparare a disegnare come un bambino”. Forse, anche per un lettore di fumetti quello di riuscire a leggere “come un bambino” sarebbe un traguardo da perseguire con passione.
Prossimamente: il ritorno della Legione! Ma come amica o… carceriera? Starà a Superboy scoprirlo a sue spese su “Adventure Comics” (vol. I) #267, nell’insospettabile ruolo di “Prigioniero dei Super-Eroi”!
P.S. Un ringraziamento speciale a Ferruccio Melchiori, la cui immaginazione è stata fondamentale nell’ideare il (geniale) titolo di questa rubrica. Grazie anche a Paolo D’Alessandro, che ha supervisionato l’articolo. Long Live the Legion!
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Davvero un’ottima rilettura, con un perfetto inquadramento storico.
Sono in trepida attesa dei prossimi!
segnalo che ho fatto una piccola modifica, per correggere un’imprecisione storica di cui mi sono accorto durante le ricerche per il prossimo articolo. scusate!